Partirei da una nuova definizione di mediazione, intesa nella sua eccezione più ampia, di “spazio” in cui le parti, sono libere di discutere in modo informale del loro problema verso la ricerca di una soluzione.

In questo spazio, che sono le parti stesse a definire e modulare in base alle proprie esigenze, sono guidate da un terzo imparziale che innesca un procedimento di comunicazione con lo scopo di riconnetterle tra di loro. Quando le parti sono ricollegate, individuano uno spazio comune all’interno del quale hanno la possibilità di individuare la soluzione del loro problema.

Mediazione intesa, dunque, come spazio.

mediazione online

Spazio che può anche essere cyberspazio dove le persone interagiscono usando tecnologie per la comunicazione mediata dal computer. Il termine oggi è comunemente utilizzato per riferirsi al mondo di Internet.

Internet, come noto, è sostanzialmente una rete ad accesso pubblico che connette vari dispositivi in tutto il mondo. Dalla sua nascita, che risale ormai a vent’anni fa, rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa e offre all’utente una vasta serie di contenuti potenzialmente informativi e di servizi. L’avvento, la diffusione di Internet e di tutti i suoi innumerevoli servizi hanno rappresentato non solo una vera e propria rivoluzione tecnologica ma anche uno sconvolgimento socio-culturale.

Internet crebbe in modo esponenziale, in pochi anni riuscì a cambiare la società, trasformando il modo di lavorare e relazionarsi. Nel 1998 venne, quindi, introdotto il concetto di eEconomy.

Il termine Web 2.0 è stato coniato nel 1999  e  definiva come “una seconda generazione di sviluppo tecnologico e web design”.

Le applicazioni Web 2.0 sono fatte dalle persone e per le persone. Pertanto, la differenza principale tra Web 2.0 e Web tradizionale, è la collaborazione.

La collaborazione è elemento chiave del procedimento di mediazione.

Il mediatore aiuta le parti a collaborare tra di loro al fine di trovare una soluzione al loro problema che le soddisfi entrambe.

Pertanto, con l’avvento di Web 2.0, ci troviamo in un’epoca di partecipazione, un momento in cui tutti gli utenti hanno il potere di contribuire, indipendentemente dal background o dalla posizione.

In mediazione le parti sono protagoniste: la risoluzione del problema è nelle loro mani, sono le uniche che hanno il potere di decidere se trovare una soluzione o no e quale soluzione adottare.

L’avvento di Web 2.0 è segnato dallo sviluppo e dall’utilizzo di strumenti che permettono lo scambio di informazioni tra gli utenti.

Web 2.0 non è una specifica tecnica per sé, ma si riferisce all’evoluzione tecnologica del World Wide Web rivelando come lo utilizzano effettivamente gli sviluppatori di software e gli utenti finali.

Così si sviluppa nel corso degli anni il concetto di mediazione, raffinando e ampliando le tecniche di negoziazione, perfezionando la comunicazione, diffondendo il suo utilizzo in settori differenti: a fianco della mediazione civile commerciale emergono la mediazione familiare, la mediazione aziendale, la mediazione scolastica, la mediazione tributaria, la mediazione sportiva.

Ora, le tecnologie successive sono utilizzate per creare il Web 3.0.

Sarà un web semantico, che possiamo definire   una “visione di informazioni” rese comprensibili dai computer, in modo che i computer possano eseguire il lavoro noioso di trovare, combinare e agire sulle informazioni sul web”

Un concetto fondamentale utile per comprendere la differenza tra web 2.0 e web 3.0 può essere il richiamo alla differenza tra la sintassi e la semantica, in modo da far emergere anche il motivo per cui è importante per i comunicatori, come i mediatori.

La sintassi è la “grammatica” formalmente accettata di una lingua, sono i suoi componenti costitutivi.

La semantica è il “significato” del linguaggio.

Faccio un esempio “Blackbarry”: stessa sintassi -mora- e differenti semantici -frutta o telefono-.

Quando si cerca nel web 2.0  “Blackberry”, la ricerca viene ottimizzata per la parola “mora” e i risultati ottenuti non sono necessariamente i contenuti più importanti o pertinenti alle esigenze specifiche di chi ha effettuato la ricerca.

Web 2.0, con la strategia delle “parole chiave”, nomina solo le cose per quello che sono. Identifica la sintassi. Chiama una mora una mora, ma non ha semantica, non conosce la differenza tra il frutto o il telefono.

Per ottenere contenuti più pertinenti occorre avere più contesto. Il web deve capire gli utenti e le loro esigenze specifiche.

Così il mediatore deve capire il contesto in cui le parti agiscono, i loro bisogni specifici.

Non basta conoscere la sintassi, cioè il “linguaggio della mediazione” ma è necessario conoscere la “semantica”, cioè il significato della mediazione.

Il significato e il contesto che quella specifica mediazione ha per le parti e per i loro avvocati, proprio in quel momento.

In altre parole, il Web semantico fornirà il contenuto preciso che un singolo individuo sta cercando, nel giusto formato, al momento giusto, e probabilmente molto altro ancora.

mediazione3.0

La  mediazione 3.0 deve diventare il contesto: il mediatore, le parti, gli avvocati non subiscono la mediazione -download-, non partecipano alla mediazione -upload- ma creano la mediazione a loro misura, nel loro contesto, in quel preciso momento -immersion-.

Possiamo dire che Web 2.0 è il lato sinistro del cervello e il web 3.0 è il cervello destro: mediazione 3.0 spinge il mediatore, le parti, gli avvocati, ad utilizzare entrambi.

In conclusione, alla luce di queste considerazioni in materia di digitalizzazione del procedimento di mediazione, vorrei evidenziare che il fallimento o il successo della mediazione non sarà necessariamente determinato dall’attuale o futura inadeguatezza dell’apparato normativo o del livello di alfabetizzazione digitale, quanto dal comportamento e attitudine alla stessa degli abituali frequentatori delle aule giudiziarie.

Non si tratta di utopia, ma già di realtà esistenti, a volte parziali, poco diffuse e conosciute, ma facilmente replicabili e migliorabili, con enormi potenzialità per il miglioramento della qualità e della capacità di risposta della giustizia ai problemi dei cittadini e delle imprese italiane.

Raccogliere le eccellenze, diffonderle, farle diventare quotidianità di per sé solo rappresenterebbe un enorme salto di qualità per il sistema giustizia.

I problemi del Processo Civile Telematico non sono tecnologici così come non lo saranno i problemi della mediazione 3.0: sono software, e come tali sono strumenti per realizzare un miglioramento delle performance della giustizia.

Gli ostacoli alla digitalizzazione dei procedimenti di risoluzione delle controversie saranno superati non solo da migliorie tecnologiche, che inevitabilmente arriveranno, ma dalla realizzazione di un nuovo sistema di cooperazione tra gli attori che gestiscono il contenzioso: uffici giudiziari e studi legali.

Sarà necessario affrontare le difficoltà tecnologie, ma anche organizzative e culturali, riorganizzando il lavoro di tutti gli operatori, ristrutturando anche fisicamente le cancellerie, fornendo strumenti di lavoro nuovi ai magistrati e al personale amministrativo, incentivando l’uso dell’informatica presso i professionisti, ma soprattutto bisognerà adeguare la normativa ormai legata ad un mondo che non c’è più!